Ricorso  per  il   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello  Stato,
presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12 
    contro la Regione  Sardegna,  in  persona  del  Presidente  della
Giunta   regionale   pro   tempore,   per    la    declaratoria    di
incostituzionalita' della legge  regionale  24  giugno  2020  n.  17,
pubblicata nel B.U.R. n. 36 del 25 giugno  2020,  avente  ad  oggetto
«Modifiche alla legge regionale n. 22 del 2019 in materia di  proroga
di termini», giusta delibera del Consiglio dei  Ministri  in  data  7
agosto 2020. 
    La legge regionale n. 17/2020, composta  di  un  unico  articolo,
reca il differimento di alcuni termini contenuti in precedenti  leggi
regionali ed e' censurabile relativamente alla disposizione contenuta
dell'art. 1 che, per i motivi di seguito specificati, viola -  da  un
lato - l'art. 3 dello Statuto speciale della  Regione,  come  attuato
mediante il decreto del Presidente della Repubblica n. 480 del  1975,
e  la  potesta'  legislativa  esclusiva  in  materia  di  tutela  del
paesaggio, di cui all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),  della
Costituzione, rispetto alla quale costituiscono norme interposte  gli
articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio, e - dall'altro lato - l'art. 9  della  Costituzione  e  il
principio di leale collaborazione. 
    La norma contenuta nell'art. 1 della legge regionale in esame  e'
volta a disporre un'ulteriore proroga delle  disposizioni  temporanee
di cui al  Titolo  H  -  Capo  I  «Norme  per  il  miglioramento  del
patrimonio esistente» della legge regionale n. 8 del 2015, protraendo
quindi  ulteriormente  l'efficacia  di  una  disciplina  a  carattere
derogatorio che era destinata in  origine  ad  avere  un'applicazione
temporale estremamente limitata. 
    La  legge  regionale  23  aprile  2015,  n.  8,  infatti,   aveva
introdotto, al Titolo H, Capo I,  un'articolata  disciplina  volta  a
consentire  la  realizzazione  di  volumi  edilizi  in  deroga   agli
strumenti urbanistici, stabilendo tuttavia, all'art. 37, comma 1, nel
suo originario tenore, che: «1. Le disposizioni di  cui  al  presente
capo si applicano  fino  all'entrata  in  vigore  della  nuova  legge
regionale in materia di governo del territorio e comunque  non  oltre
il 31 dicembre 2016.» 
    Tale termine ad quem originariamente previsto e'  stato  oggetto,
nel tempo, di numerose proroghe da parte  di  disposizioni  regionali
succedutesi nel tempo. 
    Dapprima, l'art. 1, comma 1, lettera a), della legge regionale n.
33 del 2016 ha previsto che: «1. Alla legge regionale 23 aprile 2015,
n. 8 (Norme per la semplificazione e il riordino di  disposizioni  in
materia urbanistica ed edilizia e per il miglioramento del patrimonio
edilizio), sono apportate le seguenti modifiche: 
        a) al comma 1 dell'art. 37 le parole "e comunque non oltre il
31 dicembre 2016", sono sostituite dalle seguenti:  "e  comunque  non
oltre il 31 dicembre 2017"; (...)» 
    L'art. 1, comma 1, della legge regionale n. 26  del  2017,  aveva
stabilito che: «1. La lettera a) del comma 1 dell'art. 1 della  legge
regionale 7 dicembre 2016, n. 33 (Proroga  di  termini  di  cui  alla
legge regionale n. 8 del 2015), e' cosi' sostituita: ""a) al comma  1
dell'art. 37 le parole "e comunque non oltre  il  31  dicembre  2017"
sono sostituite dalle seguenti: "e comunque non oltre  il  30  giugno
2019"".» 
    A sua volta, l'art. 1, comma 1, della legge regionale  n.  8  del
2019, nel suo originario tenore, prevedeva che: 
        «1. Il comma 1 dell'art. 1 della legge regionale 14  dicembre
2017, n. 26 (Modifiche alla legge regionale 7 dicembre  2016,  n.  33
(Proroga di termini di cui alla legge regionale n.  8  del  2015)  e'
cosi' sostituito: """1. La lettera a) del comma 1 dell'art.  1  della
legge regionale 7 dicembre 2016, n. 33 (Proroga  di  termini  di  cui
alla legge regionale n. 8 del 2015), e'  cosi'  sostituita:  ""a)  al
comma 1 dell'art. 37 le parole "e comunque non  oltre  il  30  giugno
2019" sono sostituite dalle seguenti: "e comunque  non  oltre  il  31
dicembre 2019""".» 
    L'art. 1, comma 1, della legge regionale n. 22  del  2019,  prima
della modifica, stabiliva che: «1. Nell'inciso  finale  del  comma  1
dell'art. 1 della legge regionale 21 giugno  2019,  n.  8  (Modifiche
all'art. 1 della legge regionale n. 26 del 2017 (Proroga di  termini)
le parole "30  giugno  2019"  sono  sostituite  dalle  seguenti:  "31
dicembre 2019" e le parole "31 dicembre 2019" sono  sostituite  dalle
seguenti: "30 giugno 2020".» 
    Infine, l'art. 1 della legge regionale n.  17  del  2020  dispone
quanto segue: «Nel comma 1  dell'art.  1  della  legge  regionale  20
dicembre 2019, n. 22 (Modifiche alla legge regionale n.  8  del  2019
(Proroga di termini)) le parole  "30  giugno  2020"  sono  sostituite
dalle seguenti: "31 dicembre 2020".» 
    Deve, peraltro, ricordarsi che la predetta legge regionale  n.  8
del 2015 ha rinnovato, ridefinendola, la disciplina  derogatoria  del
c.d. «piano casa» regionale, gia' contenuta nella legge regionale  23
ottobre 2009, n. 4. 
    In sostanza, con l'ulteriore - ennesima - proroga contenuta nella
legge regionale n. 17 del 2020, la Regione perpetua ulteriormente una
disciplina derogatoria introdotta per la prima volta nel 2009 e  che,
pur se con successivi  adeguamenti,  consente  sin  da  allora  (sono
undici anni...) la realizzazione di nuove volumetrie in  deroga  alla
pianificazione urbanistica, e cio'  anche  nelle  aree  sottoposte  a
tutela paesaggistica ai sensi del Codice dei  beni  culturali  e  del
paesaggio di cui ai decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. 
    La finalita' normativa era originariamente quella  di  consentire
interventi «straordinari», per  un  periodo  temporalmente  limitato,
mentre le continue proroghe, apportate con  leggi  regionali  che  si
susseguono   nel   tempo,   hanno    determinato    la    sostanziale
stabilizzazione di tali deroghe nel lungo periodo, con  il  risultato
di accrescere enormemente, per sommatoria, il numero degli interventi
assentibili in contrasto con la disciplina urbanistica. 
    Appare pertanto  evidente  che  i  plurimi  interventi  normativi
regionali, ripetuti nel tempo,  di  proroga  del  termine  finale  di
applicabilita' della disciplina di cui alla predetta legge  regionale
23 aprile  2015,  n.  8,  hanno  l'effetto  di  rendere  stabile  nel
territorio regionale una disciplina eccezionale, in  quanto  volta  a
consentire realizzazione di volumi edilizi in deroga  agli  strumenti
urbanistici. 
    Da qui, la censura di illegittimita'  costituzionale  dell'ultima
proroga disposta dall'art. 1 della legge regionale in  esame,  per  i
motivi che si illustrano di seguito. 
    Per completezza di informazione, si riferisce che la  Regione  ha
dato attuazione alla disposizione di  cui  alla  legge  regionale  n.
17/2020 oggetto di censura, con la legge regionale 13 luglio 2020, n.
21  [Norme  di  interpretazione  autentica  del  Piano  paesaggistico
regionale], pubblicata nel B.U.  Sardegna  13  luglio  2020,  n.  40,
composta di un solo articolo, l'art. 1 (Interpretazione autentica  di
norme  di  pianificazione   paesaggistica),   oggetto   di   separata
impugnazione. 
    I - Violazione dell'art. 3 dello Statuto speciale della  Regione,
come attuato mediante il decreto del Presidente della  Repubblica  n.
480 del 1975, e della potesta' legislativa esclusiva  in  materia  di
tutela del paesaggio, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s),
della  Costituzione,  rispetto   alla   quale   costituiscono   norme
interposte gli articoli 135, 143, 145  e  156  del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio. 
    1. La disciplina regionale oggetto di censura, una  volta  venuto
meno  il  suo  carattere  temporaneo,  manifesta  palesi  profili  di
illegittimita' costituzionale. 
    Invero   tali   interventi,   proprio   a   fronte   della   loro
ammissibilita', in  origine,  per  un  arco  di  tempo  limitato,  si
collocano al di  fuori  del  necessario  quadro  di  riferimento  che
dovrebbe essere costituito - laddove  incidano  su  beni  soggetti  a
tutela  paesaggistica  ai  sensi  del  Codice  di  settore  -   dalle
previsioni del piano paesaggistico, ai sensi degli articoli 135, 143,
145 e 156 del Codice di settore. Soltanto a  quest'ultimo  strumento,
elaborato  d'intesa  tra  Stato  e  Regione,  spetta  stabilire,  per
ciascuna area tutelata, le c.d. prescrizioni d'uso (ossia  i  criteri
di gestione del vincolo, volti a orientare la  fase  autorizzatoria),
nonche' individuare la tipologia delle trasformazioni compatibili, di
quelle vietate e le condizioni delle eventuali trasformazioni. 
    La  Corte  costituzionale  ha,  infatti,   da   tempo   affermato
l'esistenza di un vero e proprio obbligo,  costituente  un  principio
inderogabile della legislazione statale,  di  elaborazione  congiunta
del piano paesaggistico, con riferimento  ai  beni  vincolati  (Corte
cost. n. 86 del 2019) e ha rimarcato che  l'impronta  unitaria  della
pianificazione paesaggistica «e' assunta  a  valore  imprescindibile,
non derogatile dal legislatore regionale in quanto espressione di  un
intervento teso a stabilire una  metodologia  uniforme  nel  rispetto
della legislazione di  tutela  dei  beni  culturali  e  paesaggistici
sull'intero territorio nazionale» (Corte cost., n. 182 del 2006; cfr.
anche la sentenza n. 272 del 2009). 
    La disciplina introdotta dalla legge regionale impugnata avrebbe,
percio', dovuto prevedere la propria applicazione,  in  relazione  ai
beni paesaggistici,  esclusivamente  nei  casi  e  con  le  modalita'
previamente   determinati   dal   piano    paesaggistico    elaborato
congiuntamente con il Ministero per i beni e le  attivita'  culturali
ed il turismo o eventualmente fissati  d'intesa  con  quest'ultimo  e
destinati a confluire nel futuro piano. Cio' allo  scopo  di  evitare
che, in sede di  rilascio  delle  autorizzazioni  paesaggistiche,  le
singole trasformazioni vengano valutate in modo parcellizzato  e  non
nell'ambito della considerazione complessiva del  contesto  tutelato,
specificamente demandata al piano paesaggistico,  secondo  la  scelta
operata in materia dal legislatore nazionale. 
    2. Al riguardo, deve tenersi presente che la Regione Sardegna  ha
approvato il Primo ambito omogeneo dei Piano paesaggistico regionale,
relativo esclusivamente alle aree costiere, il 5 settembre 2006. 
    Successivamente, il 19 febbraio 2007, e' stato sottoscritto dalla
Regione con il Ministero per i  beni  e  le  attivita'  culturali  il
Protocollo d'Intesa per la verifica  e  l'adeguamento  congiunto  del
Piano paesaggistico regionale - Primo ambito omogeneo (ai sensi degli
articoli 143 e 156 del Codice dei beni culturali  e  del  paesaggio),
nonche' per la copianificazione congiunta con lo Stato  del  relativo
Secondo ambito omogeneo (comprendente le  aree  interne  dell'isola),
attivita' di copianificazione estesa all'intero territorio  regionale
(e quindi non esclusivamente ai beni paesaggistici vincolati ai sensi
del Codice di settore). 
    Inoltre, il 1° marzo 2013 e' stato sottoscritto tra la Regione  e
il citato Ministero il Disciplinare attuativo del suddetto Protocollo
d'Intesa, al fine di definire le modalita' attuative  dei  lavori  di
copianificazione sia per il Primo che il Secondo ambito. Il  predetto
Disciplinare  e'  stato  aggiornato  con  una  nuova   previsione   e
sottoscritto congiuntamente  il  18  aprile  2018.  Dall'applicazione
delle disposizioni dei suddetti Disciplinari sono  derivate  numerose
e,  a   tratti,   intense   attivita'   di   collaborazione   tecnica
istituzionale, le quali, nonostante i numerosi sforzi condotti non si
sono ancora  concluse  con  l'approvazione  del  Piano  paesaggistico
verificato e adeguato alle disposizioni del Codice di settore e della
sua estensione alle aree interne dell'Isola. 
    3. Cio' posto, si osserva che, mediante l'ennesima proroga  della
disciplina in  materia  di  «miglioramento  del  patrimonio  edilizio
esistente», la Regione  si  sottrae  ingiustificatamente  al  proprio
obbligo di redazione congiunta con il  Ministero  per  i  beni  e  le
attivita' culturali del piano paesaggistico. 
    Come detto, per le aree  costiere  le  disposizioni  della  legge
regionale  sono  dettate  in  assenza   della   previa   verifica   e
dell'adeguamento del  vigente  Piano  paesaggistico  -  Primo  ambito
omogeneo (ai sensi dell'art. 156 del Codice di settore e in  ossequio
agli accordi intercorsi), mentre per le aree interne della Regione le
medesime disposizioni sono destinate ad applicarsi al di fuori di  un
quadro di disciplina  paesaggistica,  atteso  che,  come  detto,  non
esiste ancora un piano paesaggistico. 
    Conseguentemente, la previsione, oramai nella sostanza a  regime,
di  una  disciplina  che  stabilisce  ex  lege  la  possibilita'   di
realizzare  volumetrie  aggiuntive  anche  in   relazione   ai   beni
paesaggistici soggetti a tutela, comporta  la  conseguenza  che  tali
interventi vengano valutati caso per caso, in occasione del  rilascio
dell'autorizzazione dovuta (ai sensi  dell'art.  146  del  Codice  di
settore), senza la contestualizzazione nel dovuto  quadro  di  regole
voluto dal legislatore statale,  il  quale  ha  imposto  a  tutte  le
Regioni, inclusa la Sardegna, un obbligo di pianificazione  congiunta
con riferimento ai predetti beni (cfr. Corte  costituzionale  n.  308
del 2013). 
    In altri termini, la Regione, con  l'ennesima  proroga  di  norme
derogatorie  e  straordinarie,  destinate  ad  applicarsi  anche  con
riferimento ai beni paesaggistici per i quali non esiste, allo stato,
alcuna pianificazione  paesaggistica  (aree  interne  dell'isola),  o
esiste  una  disciplina  non  adeguata  al  Codice  (aree   costiere)
determina surrettiziamente l'effetto di operare una pianificazione ex
lege estesa ai beni paesaggistici, che non  tiene  conto  dei  valori
paesaggistici e che, per di piu',  e'  disposta  ai  di  fuori  della
necessaria condivisione con lo Stato. 
    4. E' noto che l'art. 3, lettera f), dello Statuto speciale della
Regione autonoma della Sardegna  (legge  costituzionale  26  febbraio
1948, n. 3) attribuisce alla Regione potesta' legislativa in  materia
di «edilizia e urbanistica», mentre l'art. 6 decreto  del  Presidente
della Repubblica 22 maggio 1975, n. 480 («Nuove norme  di  attuazione
dello  statuto  speciale  della  regione  autonoma  della  Sardegna»)
trasferisce alla Regione  alcune  competenze  gia'  esercitate  dagli
organi del Ministero della pubblica  istruzione,  poi  attribuite  al
Ministero per i beni culturali e ambientali. 
    Va tuttavia rimarcato che, in  base  ai  medesimo  art.  3  dello
Statuto speciale, la potesta' legislativa  regionale  in  materia  di
edilizia e urbanistica deve essere  esercitata  «In  armonia  con  la
Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica
e col  rispetto  degli  obblighi  internazionali  e  degli  interessi
nazionali,   nonche'   delle   norme   fondamentali   delle   riforme
economico-sociali della Repubblica»,  e  quindi  necessariamente  nel
rispetto delle  previsioni  del  Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio,  dettate  dallo  Stato   nell'esercizio   della   potesta'
legislativa esclusiva di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera
s), della Costituzione. 
    La  Corte  costituzionale  ha  gia'   chiarito   che   le   norme
fondamentali statali emanate in materia - come  il  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio -  continuano  «ad  imporsi  al  necessario
rispetto del legislatore  della  Regione  Sardegna  che  eserciti  la
propria competenza statutaria nella materia edilizia ed  urbanistica»
(sentenza n. 51 del 2006). 
    Anche piu' recentemente la Corte  ha  rimarcato  il  ruolo  e  le
attribuzioni del legislatore nazionale con riguardo  alle  previsioni
dello Statuto speciale della Regione  Sardegna,  affermando  che  «Il
legislatore statale conserva  il  potere  di  vincolare  la  potesta'
legislativa primaria dell'autonomia speciale attraverso  l'emanazione
di leggi qualificabili come "riforme economico-sociali". E cio' anche
sulla base - per  quanto  qui  viene  in  rilievo  -  del  titolo  di
competenza   legislativa   nella   materia   "tutela   dell'ambiente,
dell'ecosistema e dei beni culturali", di cui all'art.  117,  secondo
comma,  lettera  s),  Cost.,  comprensiva  tanto  della  tutela   del
paesaggio quanto  della  tutela  dei  beni  ambientali  e  culturali»
(sentenza n. 178 del 2018). 
    Nel caso in esame,  la  norma  regionale  censurata  si  pone  in
contrasto con gli articoli 135, 143, 145 e 156 del  predetto  Codice,
ove si prevede l'obbligo di pianificazione  congiunta  con  lo  Stato
rispetto ai beni paesaggistici sottoposti a tutela  e  la  prevalenza
del  piano  paesaggistico  -  che  costituisce  la  vera  e   propria
«costituzione del territorio» - su ogni altro atto di  pianificazione
territoriale e urbanistica. 
    Al  riguardo,  la  Corte  costituzionale   ha   riconosciuto   la
prevalenza dell'impronta unitaria della pianificazione paesaggistica,
rimarcando che: «Come questa Corte ha avuto modo di  affermare  anche
di recente con la sentenza n. 367 del 2007, sul territorio vengono  a
gravare piu' interessi pubblici: da un lato,  quelli  concernenti  la
conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta  in  via
esclusiva allo Stato, in base all'art. 117,  secondo  comma,  lettera
s), Cost.; dall'altro, quelli riguardanti il Governo del territorio e
la valorizzazione dei beni culturali  ed  ambientali  (fruizione  del
territorio), che sono affidati,  in  virtu'  del  terzo  comma  dello
stesso art. 117, alla competenza  concorrente  dello  Stato  e  delle
Regioni. In definitiva, si "tratta di due tipi  di  tutela,  che  ben
possono essere coordinati fra loro, ma  che  debbono  necessariamente
restare distinti"» (cosi' la citata sentenza n. 367 del 2007). 
    Ne consegue, sul piano del riparto  di  competenze  tra  Stato  e
Regione in materia di paesaggio, la «separatezza  tra  pianificazione
territoriale ed urbanistica,  da  un  lato,  e  tutela  paesaggistica
dall'altro»,  prevalendo,  comunque,   «l'impronta   unitaria   della
pianificazione paesaggistica» (sentenza  n.  182  del  2006).  E'  in
siffatta piu' ampia prospettiva che, dunque, si colloca il  principio
della «"gerarchia" degli  strumenti  di  pianificazione  dei  diversi
livelli territoriali, espresso dall'art. 145 del decreto  legislativo
n. 42 del 2004» (sentenza n. 180 del 2008). 
    Anche di recente la Corte costituzionale ha ribadito  l'esistenza
di un vero e proprio obbligo, costituente un  principio  inderogabile
della legislazione  statale,  di  elaborazione  congiunta  del  piano
paesaggistico, con riferimento ai beni vincolati (Corte cost.  n.  86
del  2019)  e  ha  sottolineato   che   l'impronta   unitaria   della
pianificazione paesaggistica «e' assunta  a  valore  imprescindibile,
non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di  un
intervento teso a stabilire una  metodologia  uniforme  nel  rispetto
della legislazione di  tutela  dei  beni  culturali  e  paesaggistici
sull'intero territorio nazionale» (Corte cost., n. 182 del 2006; cfr.
anche la sentenza n. 272 del 2009). 
    D'altro canto, la Corte ha affermato anche che la compressione di
diritti costituzionali (nel  caso  qui  in  esame,  l'interesse  alla
tutela del  paesaggio  e  il  principio  di  copianificazione,  sopra
richiamato) puo' essere giustificata talora, per ragioni eccezionali,
per un limitato arco temporale, e che e' conseguentemente illegittima
la proroga di tale compressione (cfr. Corte cost.,  sentenza  n.  186
del 2013). 
    La disposizione regionale censurata e', pertanto, illegittima per
violazione dell'art. 3 dello Statuto  speciale  della  Regione,  come
attuato mediante il decreto del Presidente della  Repubblica  n.  480
del 1975, e della potesta' legislativa esclusiva in materia di tutela
dei paesaggio, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s),  della
Costituzione, rispetto alla quale costituiscono norme interposte  gli
articoli 135, 143, 145 e 156 del Codice  dei  beni  culturali  e  del
paesaggio. 
    II - Violazione dell'art.  9  Costituzione,  anche  in  relazione
all'art. 117, secondo comma, lettera s). 
    1. E', inoltre, ravvisabile per la normativa regionale de qua  la
violazione dell'art. 9 della Costituzione, in  quanto  la  disciplina
introdotta mediante la legge regionale  censurata  e'  potenzialmente
pregiudizievole per la  tutela  del  paesaggio,  che  ha  valenza  di
interesse costituzionale primario e assoluto (v. Corte costituzionale
n. 367 del 2007). 
    Come sopra detto, anche a voler ritenere  giustificata  la  prima
compressione subita da tale interesse, non si giustifica, invece,  la
proroga sine die  della  disciplina  regionale,  che  ha  determinato
l'abbassamento del livello della tutela del paesaggio, oltretutto  in
palese  violazione  del  principio  fondamentale  di  co-gestione   e
co-pianificazione del territorio e del paesaggio. 
    2. Come e' noto, il Codice dei beni  culturali  e  del  paesaggio
disciplina il procedimento di redazione e di approvazione  del  piano
paesaggistico, quando esso abbia a oggetto o comunque interessi  aree
vincolate come beni paesaggistici, ai sensi degli articoli 136 e  142
del medesimo Codice. 
    In tal caso, alla elaborazione di quella parte del piano concorre
in via obbligatoria, in uno con la regione interessata, il  Ministero
(cfr. art. 135, comma 1), secondo un canone di  leale  collaborazione
fra  Stato  e  Regioni  che  trova  la  sua  compiuta   realizzazione
esclusivamente nella forma della condivisione necessaria delle scelte
di pianificazione paesaggistica territoriale. 
    Lo  stesso  principio  di  leale  collaborazione  puo'   spingere
peraltro le Regioni  a  coinvolgere  il  Ministero  nell'elaborazione
complessiva del piano, in riferimento, quindi, a tutto il  territorio
considerato, ivi inclusi gli ambiti non vincolati. 
    Il punto di equilibrio  dei  poteri  statali  e  regionali  nella
materia della tutela e valorizzazione del  paesaggio  risponde  a  un
fondamentale principio, che sorregge l'intero  sistema  della  tutela
del  paesaggio  e  che  si  compendia  nella  co-decisione  e   nella
compartecipazione necessarie tra Stato e regione in tutte  e  tre  le
fasi  in   cui   si   articola   la   tutela   paesaggistica,   ossia
individuazione, pianificazione e  gestione,  quest'ultima  esercitata
mediante il rilascio delle autorizzazioni degli  interventi  relativi
ai beni tutelati. 
    La necessita'  del  raggiungimento  del  punto  di  equilibrio  -
rispondente peraltro al fondamentale principio  della  codecisione  e
della compartecipazione necessarie tra Stato e Regione in tutte e tre
le fasi in cui si articola la tutela  paesaggistica  (individuazione,
pianificazione e gestione-controllo autorizzatorio dei vincoli),  che
sorregge l'intero sistema della tutela del paesaggio - e' stato  piu'
volte ribadito nella  giurisprudenza  di  codesta  Corte  Ecc.ma,  in
riferimento alle Regioni a statuto speciale (v. Corte costituzionale,
24 maggio 2009, n. 164; 17 marzo 2010, n. 101;  24  luglio  2013,  n.
238) ed a quelle ordinarie (si veda la giurisprudenza dianzi citata). 
    La legge regionale che si impugna viola,  pertanto,  direttamente
questi fondamentali parametri costituzionali. 
    3.  La  ragione  fondante  la  previsione  dell'obbligatoria  co-
pianificazione tra Stato e Regione per i beni paesaggistici -  a  suo
tempo esplicitata  dal  secondo  decreto  legislativo  correttivo  n.
63/2008 - risiede invero nella necessita' di  evitare  che  il  Piano
territoriale  regionale,  atto  fondamentale   che   rappresenta   la
Costituzione del territorio, possa essere esposto a  continue,  anche
radicali, rivisitazioni con il succedersi degli organi regionali. 
    Il Piano regionale, invece, ha un senso in quanto piano  generale
sovraordinato  a  tutti  gli  altri   strumenti   di   pianificazione
territoriale, sia urbanistica sia settoriale  (art.  145  del  Codice
cit.), ponendosi  necessariamente  in  una  dimensione  temporale  di
stabilita' e di  lungo  periodo,  incompatibile  con  le  unilaterali
scelte dei soli organi regionali, poiche' esprime le scelte di  fondo
della pianificazione futura del territorio. 
    E' conseguentemente ragionevole che  esso  richieda,  per  essere
definito e modificato, procedure non  ordinarie,  ma  «rinforzate»  e
aggravate, che consentano da un lato una piu' approfondita e meditata
valutazione, dall'altro lato una piu' ampia condivisione  che  superi
anche i limitati  confini  regionali,  attraverso  la  partecipazione
determinante di una pluralita' di attori istituzionali e trascenda la
singola   amministrazione   che,   in    un    determinato    momento
politico-istituzionale, si trovi ad essere titolare della funzione. 
    E' esattamente questa la ragione  per  la  quale  il  legislatore
nazionale, introducendo una norma che  costituisce  l'architrave  del
sistema di tutela, ha voluto la necessaria condivisione tra lo  Stato
e la Regione dell'eventuale revisione del Piano paesaggistico. 
    Sotto un diverso, ma fondamentale e convergente profilo,  occorre
inoltre rilevare che i beni paesaggistici propri di ciascuna  Regione
italiana, nella logica degli articoli 9  e  117  della  Costituzione,
trascendono,  sia  come  valore  culturale  e   sociale,   sia   come
bene-interesse  giuridicamente   rilevante,   l'ambito   territoriale
regionale, riferibile alla collettivita' ivi stanziata, per assurgere
a una dimensione sicuramente nazionale. 
    Gli  stessi  sono  infatti  beni  comuni  riferibili   all'intera
collettivita' nazionale,  di  tal  che  e'  la  Repubblica  ad  avere
competenza  a  tutelare  il  paesaggio  e  rientra  nella  competenza
esclusiva dello Stato il compito di tutelare l'ambiente. 
    Anche in  un'ottica  che  tenga  presente  il  ruolo  degli  enti
territoriali alla luce del fondamentale principio di bilanciamento  e
di  leale  collaborazione  in  presenza   di   eventuali   competenze
concorrenti, cio' non puo' che  significare  come,  anche  da  questo
punto di vista, il potere degli organi  regionali  di  ridisegnare  i
connotati dei relativi paesaggi incontra un preciso limite costituito
(quanto  meno)  dal  potere  di   necessaria   co-decisione   statale
opponibile anche all'autonomia regionale. 
    La ricostruzione  del  sistema  normativo  fin  qui  prospettata,
invero, appare perfettamente coerente con i parametri  costituzionali
e non svilisce in  alcun  modo  la  centralita'  del  ruolo  e  delle
competenze regionali, riconosciute sia dal Codice del 2004, sia dalla
Convenzione europea del paesaggio di Firenze del 2000. 
    Resta  infatti  fermo  e  non  contestato  il   ruolo   centrale,
strategico e propositivo dell'autonomia regionale. 
    La stessa deve pero' necessariamente confrontarsi,  su  un  piano
paritario e codecisionale, con il ruolo, parimenti essenziale,  degli
uffici periferici dello Stato. 
    III - Violazione del principio di leale collaborazione. 
    Deve, infine, rilevarsi  che,  mediante  la  legge  regionale  in
esame, la Regione Sardegna si sottrae ingiustificatamente al  proprio
obbligo di redazione congiunta con il  Ministero  per  i  beni  e  le
attivita' culturali del Piano paesaggistico, violando il principio di
leale collaborazione. 
    Come  detto,  infatti,  la  Regione  ha  assunto  l'impegno,  nei
confronti  di  detto  Ministero,  di  pianificare  congiuntamente  il
territorio regionale. La legge regionale in esame costituisce  invece
il frutto di una scelta assunta unilateralmente dalla Regione, al  di
fuori  del  lungo  percorso  condiviso  con  lo  Stato   all'indomani
dell'approvazione del piano paesaggistico regionale. 
    Va ricordato al riguardo che, secondo l'insegnamento della  Corte
costituzionale, il principio di leale collaborazione «deve presiedere
a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni», atteso  che
«la sua elasticita' e la sua adattabilita' lo rendono particolarmente
idoneo  a  regolare  in  modo  dinamico  i  rapporti  in   questione,
attenuando i dualismi ed evitando eccessivi irrigidimenti» (cosi'  in
particolare, tra le tante, Corte costituzionale n. 31 del  2006).  In
particolare,  la  Corte  ha  chiarito  che  «Il  principio  di  leale
collaborazione, anche in una accezione minimale,  impone  alle  parti
che sottoscrivono un accordo ufficiale in una sede  istituzionale  di
tener fede ad un impegno assunto» (cosi' ancora la sentenza da ultimo
richiamata). 
    Pertanto,  anche   a   prescindere   dagli   altri   profili   di
illegittimita' costituzionale sopra  evidenziati,  in  ogni  caso  la
Regione  non  avrebbe  potuto,  con  una  propria  legge,   liberarsi
dall'obbligo della pianificazione  congiunta  dell'intero  territorio
regionale, assunto nei confronti dello Stato. 
    La  scelta  della  Regione  Sardegna   di   assumere   iniziative
unilaterali e reiterate, al di fuori del percorso  di  collaborazione
gia' proficuamente avviato  con  lo  Stato,  si  pone,  pertanto,  in
contrasto anche con il predetto principio di leale collaborazione. 
    Tanto premesso e considerato, giusta delibera del  Consiglio  dei
Ministri in data 7 agosto 2022.